10.12.2021 / Bangladesh
Sala Don Bosco – Istituto Salesiano Maria Ausiliatrice Rainerum Salesiani Don Bosco – P.zza Domenicani, 15
Per assicurarti l’evento prenota da questo link.
Con i suoi 4 milioni di occupati, la filiera dell’abbigliamento contribuisce per l’80% alle esportazioni del Bangladesh. Molte grandi marche si riforniscono in questo paese: ma a quali condizioni?
Il missionario Giovanni Abbiati ha dato un’occasione di riscatto alle donne bengalesi diffondendo il loro artigianato a livello internazionale per mezzo del commercio equo e solidale.
In Bangladesh si contano 50 milioni di poveri, con un reddito pro capite inferiore ai 1.200 dollari all’anno, gravi carenze sul piano sanitario, educativo e nutrizionale. Sono persone che, nel linguaggio arido del denaro, sopravvivono con meno di 2 dollari al giorno: non mangiano abbastanza, vivono in baracche fatiscenti, non riescono a curare neanche una dissenteria, non dispongono di corrente elettrica, non possono mandare i propri figli a scuola.
Una condizione che non può essere attribuita solo all’eredità coloniale, ma anche alle ingiustizie interne che si sono perpetuate nel tempo. Il 65% dei bengalesi vive nelle campagne, la loro esistenza dipende dalla disponibilità di terra che però è terribilmente maldistribuita. A causa dell’ignoranza che li rende facili prede di truffe e raggiri e a causa di un apparato giudiziario corrotto, molti piccoli contadini si vedono spogliare dei loro appezzamenti e trasformati in nullatenenti.

Quando la vita nelle campagne si fa impossibile, si cerca rifugio nelle città ed ecco crescere le baraccopoli attorno alle grandi metropoli. Solo a Dacca, la capitale, se ne contano più di 5mila, inferni umani in cui sono ammassate 4 milioni di persone, un quarto della popolazione dell’intera città.
Qualcuno lavora anche presso le fabbriche di abbigliamento che a Dacca sono sorte come funghi negli ultimi decenni. Il governo ha puntato molto sull’industria tessile, in particolare nel settore delle confezioni, che oggi rappresenta la spina dorsale dello sviluppo industriale bengalese.
Con 4 milioni di occupati l’abbigliamento contribuisce all’80% delle esportazioni e pone il Bangladesh al secondo posto, dopo la Cina, nella classifica dell’export mondiale.
Alcune grandi marche che si riforniscono in Bangladesh unicamente per i prezzi che spuntano e sono riusciti a fronteggiare la tempesta del covid-19, aumentando la propria produzione e valutazione azionaria del 22% mentre chi produceva ha lottato per sopravvivere.
Di questa realtà ci parlerà Deborah Lucchetti
Manager d’impresa, animatrice di rete, esperta di commercio equo ed economie solidali, specializzata nella progettazione di filiere economiche e reti sociali per l’innovazione e la sostenibilità.
Ha lunga esperienza di volontariato nel campo della formazione di base sul tema del lavoro e dei diritti sindacali.
Coordinatrice e portavoce della sezione italiana Campagna Abiti Puliti , campagna internazionale di pressione sulle imprese del settore tessile e abbigliamento per il rafforzamento dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nelle filiere globalizzate.

Le donne bengalesi da sempre intrecciano materiali naturali (juta e foglia di palma) per le necessità di case nelle quali, ancora oggi, sono normalmente assenti tavoli, sedie e letti; da sempre riutilizzano i vecchi sari consunti e logori cucendone insieme diversi strati in modo tale da ridare loro consistenza. Padre Giovanni Abbiati, le convinse a produrre questi oggetti (tappeti, stuoie, arazzi ricamati, …) incaricandosi di trovare degli acquirenti in Italia, dove l’idea del commercio equo e solidale nel 1975 era allora pressoché sconosciuta.
L’intuizione di padre Abbiati fu quella di credere che l’artigianato bengalese potesse avere una possibilità nella realtà del commercio equo-solidale che stava prendendo piedi in quegli anni in Italia. Da qui la costituzione di un’associazione di produttori in Bangladesh, chiamata BaSE, e la commercializzazione dei prodotti nelle botteghe italiane.
Un legame che continua anche oggi. Attualmente infatti sono circa 5.000 le donne che lavorano nelle cooperative in Bangladesh e che, in questo modo, possono permettere ai figli di studiare.
Padre Giovanni è morto nel 2009.
Benedetto Abbiati, ci parlerà dell’eredità lasciata da suo fratello padre Giovanni Abbiati, che nel 1975 ebbe l’intuizione di portare i valori del commercio equo e solidale tra le artigiane in Bangladesh fondando „BaSE“, organizzazione tuttora esistente che coinvolge oggi circa 5.000 artigiane che, in questo modo, possono permettere ai figli di studiare.
Padre Giovanni è morto nel 2009.
Durante la serata verrà presentato anche il documentario “Secondo Giovanni” in cui il nipote ripercorre la storia di padre Giovanni Abbiati.